venerdì 22 giugno 2007

Copio ed incollo dal sito di latinoamerica
LULA A TUTTO CAMPO: GLI STATI UNITI, IL VENEZUELA E L'AMERICA LATINA

Gennaro Carotenuto
(11 giugno 2007)

Il Presidente brasiliano Luíz Inácio "Lula" da Silva, in un'intervista esclusiva concessa ad Al Jazeera di passaggio a Londra dopo aver partecipato al G8, ha accusato il governo degli Stati Uniti di aver partecipato ai colpi di Stato in America Latina, di aver tentato di rovesciare il Presidente venezuelano Hugo Chávez, e di non avere una buona disposizione verso lo sviluppo del continente

Lula, pur ribadendo le buone relazioni istaurate con Bush, si è mostrato duro con il governo degli Stati Uniti: "Non ho mai visto una politica americana per contribuire allo sviluppo dei paesi più poveri del continente. Ed è per questo che l'intera regione latinoamericana si vede come antagonista del governo statunitense. Inoltre, l'immagine degli Stati Uniti, dal Vietnam, all'Iraq, alla Baia dei Porci a Cuba, è conflittuale. I golpe militari -ha dichiarato Lula- avvenuti in tutta l'America Latina, cito quelli in Cile, Argentina, Uruguay e Brasile solo per fare alcuni esempi, contarono con il rilevante appoggio della politica estera statunitense".

Lula, considerato il leader della sinistra moderata nel continente -e perciò messo in contrapposizione al Presidente venezuelano Hugo Chávez- non poteva non toccare il tema delle relazioni difficili tra Venezuela e Stati Uniti. Secondo il Presidente brasiliano queste "potranno migliorare solo quando negli Stati Uniti ci sarà un altro presidente" giacché "sono stati i nordamericani a tentare di rovesciare Chávez". Tuttavia per Lula "è divertente che entrambi i presidenti litighino continuamente, visto che George Bush ha bisogno del petrolio venezuelano e Chávez ha bisogno di venderlo agli Stati Uniti". Al di là di tutto, sia gli Stati Uniti che il Venezuela sono paesi amici per il Brasile, e Lula spiega gli attuali contrasti con l'eccessiva ingerenza statunitense nella vita politica venezuelana, soprattutto in materia petrolifera. Interrogato sulle sue relazioni con Chávez, ha risposto che è "un amico e un compagno" ed ha accusato la stampa brasiliana e internazionale di vedere conflitti col Venezuela dove non ci sono, per esempio in materia di bioetanolo, del quale il Brasile è già tra i primi produttori mondiali. Prima della partenza per l’Europa, Lula, che sta creando per la prima volta nella storia del Brasile una televisione pubblica, aveva considerato “pienamente legittima e democratica” la decisione di Chávez di non rinnovare la licenza al canale televisivo commerciale RCTV, che il senato brasiliano aveva invece censurato.

Nella parte finale dell'intervista, Lula si è dedicato ai negoziati di Doha dell'organizzazione mondiale per il Commercio. "Il momento è adesso, soprattutto per l'Africa. L'Europa deve liberalizzare l'entrata di prodotti agricoli dai paesi poveri, gli Stati Uniti devono ridurre i loro sussidi agricoli, e noi dovremo essere flessibili su servizi e prodotti industriali. Se non troveremo un accordo sarà un atto di codardia politica e -tuona Lula- sarà inutile parlare di terrorismo, se si impedisce ai paesi poveri di svilupparsi".

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Da www.selvas.org
copio/incollo

Cos'hanno in comune la Sardegna, l'isola di Vieques, conosciuta anche come la Isla Nena del Porto Rico e Manta, località sulla costa ecuadoriana? Il mare cristallino, le belle spiagge, un popolo fiero e ospitale. Non solo. Condividono o sarebbe meglio dire, hanno condiviso, anche una pesante limitazione della propria sovranità territoriale per la presenza delle basi militari statunitensi. Sardegna, Vieques - Portorico, Filippine, Ecuador: una tre giorni per trovare punti in comune e strategie unitarie per difendere la sovranità popolare e, anche, la salute delle persone.
Cos'hanno in comune la Sardegna, l'isola di Vieques, conosciuta anche come la Isla Nena del Porto Rico e Manta, località sulla costa ecuadoriana? Il mare cristallino, le belle spiagge, un popolo fiero e ospitale. Non solo. Condividono o sarebbe meglio dire, hanno condiviso, anche una pesante limitazione della propria sovranità territoriale per la presenza delle basi militari americane. Ma mentre in Sardegna è necessario ancora spendere energie affinché lo zio Sam - è proprio il caso di dirlo - tolga le basi, perché come dice Mariella Cao, del comitato sardo gettiamo le basi, “ le promesse non ci interessano, aspettiamo i fatti concreti”, a Vieques e a Manta, le battaglie della società civile, unita in una lotta comune hanno dato i loro risultati positivi. Di questo si è parlato lo scorso 9, 10 e 11 luglio al convegno No Bases, l'opposizione alle basi militari in Sardegna e nel mondo. Esperienze a confronto: Sardegna, Vieques - Portorico, Filippine, Ecuador una tre giorni di conferenze, dibattiti e tavole rotonde, per trovare punti in comune e strategie unitarie per difendere la sovranità popolare, la salute delle persone e il diritto all'autodeterminazione dei popoli.
Ospiti d'onore all'apertura del Convegno, direttamente dall'America Latina, tre rappresentanti di queste battaglie, Nilda Medina, candidata a premio nobel per la pace e protagonista della lotta non violenta contro le basi a Vieques, Wanda Colon Cortes presidente del Comitato per il riscatto e lo sviluppo di Vieques e Anabel Estrella che dall'Ecuador coordina la rete mondiale contro le basi militari.Perché se anche la base nord-americana a Vieques fa parte ormai del passato dell'isola, grazie a una lotta non violenta, esempio planetario, portata avanti con la disobbedienza civile, da tutta la comunità dell'isola - la questione della bonifica delle aree ex militari è un'altra battaglia che tutt'ora i cittadini stanno combattendo. Zone dove è stato utilizzato uranio impoverito, e dove per la maggior parte non si hanno notizie sugli esperimenti che la marina statunitense ha effettuato durante i 60 anni di occupazione, il tutto è coperto da segreto militare. Quello che è certo oggi, sono le alte percentuali di incidenza di alcune malattie nella popolazione, leucemia e tumori in primis, ma anche malattie della pelle e malformazioni, percentuali che sono aumentate a partire dal 1975, soprattutto per quando riguarda donne e bambini. Per questo dice Wanda Colon Cortes, “noi chiediamo al governo di Washington il rispetto delle 4 D: Demilitarizzazione, Decontaminazione, Devoluzione e Desarrollo (Sviluppo). La cosa più sorprendente in questa lotta e della quale vanno molto fiere le rappresentanti portoricane, è come la popolazione sia stata davvero unita contro quello che era percepito come un nemico comune. Secondo Nilda Medina “la diversità, l'eterogeneità del movimento è stata la sua forza più grande, non bisogna dimenticare che a Portorico ci sono molte divisioni, politiche, religiose, sociali, ma si è deciso di mettere da parte queste divisioni interne per ottenere un risultato molto più importante, la dignità di un popolo e la difesa della salute della nostra gente”.
La vicenda di Vieques è un bell'esempio di unità nella diversità.
La molla che fece scattare la protesta generale, fu la morte del giovane David Senes ucciso per errore da un ordigno militare nel 1999. Allora tutti capirono che non si poteva più rimanere indifferenti, la lotta iniziò con manifestazioni di protesta alle quali parteciparono sindacalisti, studenti, artisti, rappresentanti religiosi, cattolici, pentecostali, luterani, indipendentisti, o di orientamento filoamericano (Portorico ha lo status di stato libero associato degli USA). L'opposizione alla base arrivò a varcare i limiti invalicabili, dove la gente si accampò lasciando dei presidi 24 ore su 24. Una lotta continua senza soste, e su più fronti. Allo stesso tempo delegazioni della società civile incontravano i membri del Congresso a Washington chiedendo lo smantellamento immediato delle basi. I manifestanti hanno subito arresti, violenze ma non si sono arresi, “sapevamo di avere ragione e di essere nel giusto” - sottolinea Nilda Medina. Ci sono voluti 3 anni, ma la gente di Vieques con il sostegno anche di tanti stranieri e personaggi famosi, che si appassionarono alla causa, alla fine ebbe la meglio. Il 1 maggio 2003 il governo statunitense concluse le esercitazioni sull'isola. La lotta ora continua per avere la bonifica del territorio, “vogliamo che ce lo restituiscano così come era quando lo hanno preso” dice Wanda Colon Cortes, “ anche se sappiamo che questo è ormai impossibile, vogliamo che i nostri pescatori possano tornare a pescare e che la nostra bella isola possa ospitare i turisti da tutto il mondo in sicurezza”.

Ma per una base che si chiude ce n'è subito un'altra che si apre. Nel 1999 quando cioè iniziano le proteste in Portorico il governo nord-americano firma degli accordi con il governo ecuadoriano, per l'apertura di una base nel sud del paese, ufficialmente per poter contrastare meglio il narcotraffico della zona, la posizione strategica di Manta infatti, porto molto vicino al confine con la Colombia giustificherebbe la limitazione della sovranità del piccolo paese andino. In realtà dice Anabel Estrella “ la base statunitense in quella posizione serve per contrastare la guerriglia colombiana e per supervisionare la situazione dell'America Latina che negli ultimi anni sta sperimentando delle esperienze di governo alternative, in nome dell'autodeterminazione e sempre meno dipendenti dagli Stati Uniti. Una situazione pericolosa insomma” . “ Dal 1999 - continua la Estrella - i pescatori di Manta non possono più entrare nel porto, la gente non riesce più a vivere di pesca, e non si hanno neanche abbastanza soldi per spostarsi nelle grandi città, e nessuno paga per questo “ .


Pesanti eredità del mondo bipolare
Agricoltura contaminata, incidenti misteriosi, ma anche leggende secondo le quali i nord-americani porterebbero ricchezza. Per questo molti si sono spostati spendendo tutto in attività commerciali nella zona, destinate a fallire perché i gringos importano tutto e non spendono nulla in Ecuaodr. Anche qui una mobilitazione popolare, esperienze di disobbedienza civile, ma anche azioni di sensibilizzazione e un cambio di governo, in carica da appena sei mesi, hanno portato a una dichiarazione del Presidente Rafael Correa il quale ha affermato che non rinnoverà gli accordi con gli Stati Uniti. Il neopresidente non si è limitato a questa dichiarazione ma ha lanciato anche una provocazione, dicendo che non ci sarà base nord-americana in Ecuador almeno finché non ci sarà una base ecuadoriana negli Stati Uniti. Altra vittoria, ma anche a Manta rimane il problema della bonifica e pulizia della zona.

I racconti delle attiviste latinoamericane fanno ben sperare, anche se una vittoria per un paese spesso significa una nuova limitazione in un latro paese. Anche in Sardegna alla tanto sbandierata ritirata dall'isola della Maddalena, grazie al lavoro delle associazioni contro le basi, ma come dice Mariella Cao, “venduta come vittoria di questo o di quell'altro politico” probabilmente corrisponderà una nuova base da qualche altra parte del mondo. E magari era già tutto in programma, un semplice cambio di strategia, perché se prima il motivo che poteva giustificare le basi era il nemico russo, ora i nemici sono tanti, e molti sempre più a est, quindi la Sardegna non è poi così conveniente come poteva esserlo in piena guerra fredda.

Anche per questo non bisogna abbassare la guardia, se sono convinti tutti i relatori, e molto importante in questa lotta risulta essere la comunicazione, condividere le esperienze. Anche per questo a marzo si è tenuto a Quito (Ecuador) il primo incontro mondiale contro le basi, al quale hanno partecipato delegazioni di 40 paesi. I dati a disposizione anche sul numero di basi e sulle location sono sempre molto vaghi e imprecisi. Secondo Anabel Estrella uno dei prossimi lavori urgenti “è quello di sistematizzare i dati che si hanno grazie alle associazioni contro le basi di tutto il mondo, l' informazione è sempre alla base delle azioni”.

Anonimo ha detto...

da www.selvas.org
In Guatemala si sta concludendo una campagna elettorale affogata nel sangue e si profila un testa a testa tra due “professionisti” bianchi della politica. In affanno la candidata Premio Nobel per la Pace 1992 Rigoberta Menchù. Domenica 9 settembre i guatemaltechi andranno alle urne "scortati" da 70.000 osservatori internazionali.
Qurantanove delitti per un presidente. Così si giunge al voto in Guatemala, contando i morti tra i candidati, tra gli attivisti, tra i familiari di quanti in queste elezioni del 9 settembre hanno iscritto il proprio nome. Più di 60 gli attentati (gli ultimi due lo scorso 4 settembre, quando sull'asfalto della capitale sono rimasti immobili altri due candidati al Consiglio del partito Encuentro por Guatemala, il partito che mette in lizza per la preisenza Riboberta Menchù Tum.
Violenze su violenza, come accade negli ultimi anni in un crescendo sempre più brutale (vedi l'articolo “Violenza e insicurezza in Guatemala” - http://www.selvas.org/newsGU0106.html), perché quanto sia fuori controllo la situazione del paese dell'America centrale lo testimonia - ad esempio - il fatto che gli assassini di due candidati di Encuentro por Guatemala sono stati brutalmente uccisi per strada, a sangue freddo, senza un processo, senza un tribunale, senza una Giustizia.
Una lunga scia di sangue che, si spera, possa essere in qualche modo bloccata dai 70.000 osservatori giunti da tutto il mondo per monitorare lo svolgimento di queste elezioni, trasformando la prossima domenica nel giorno elettorale più controllato della Storia.
Chi, cosa, perché
Domenica 9 settembre il Guatemala voterà per eleggere il Presidente della Repubblica e il Vice Presidente, 158 deputati al Congresso e 332 tra sindaci e consigli municipali.
Queste elezioni saranno regolamentate da una nuova legge elettorale che prevede, nel caso in cui nessun candidato alla Presidenza ottenga la maggioranza assoluta al primo turno, un ballottaggio da effettuarsi domenica 4 novembre tra i candidati più votati.
Sono chiamati alle urne 6 milioni di elettori su 13 milioni di abitanti censiti (il cui 60% è indigeno), e di questi oltre il 40% si è dichiarato ancora indeciso sulla preferenza elettorale.

Le ultime indagini statistiche danno per favoriti alla presidenza Alvaro Colom (UNE - Unidad Nacional de la Esperanza - centrosinistra - vedi biografia) e il generale Otto Pérez Molina (PP - Partido Patriota - centrodestra - vedi biografia), entrambi molto conosciuti: Colom è alla sua terza campagna elettorale presidenziale, Molina spende e spande in una costosissima campagna propagandistica fin dai primi mesi del 2006.
Si qualificherebbe solo quarta Rigoberta Menchù Tum, del partito Encuentro por Guatemala (EG - vedi biografia), Premio Nobel per la Pace 1992, la cui candidatura ha avuto molta più eco in Europa che non nel suo Paese.

Incredibile ma vero, candidato alla presidenza è anche Efrain Rios Montt, generale sotto processo - in Spagna - con l'accusa di genocidio in Guatemala (vedi biografia).
Secondo le ultime indagini statistiche, Colom avrebbe il 24,5% delle preferenze, Perez il 15,27%, Menchù il 3,4%, ma nessuno dei candidati otterrebbe la maggioranza assoluta.

Un fallimento inatteso
Soprattutto da questa parte dell'oceano, le percentuali di Rigoberta Menchù fanno scalpore: come è possibile che un personaggio tanto conosciuto e apprezzato, una donna indigena per di più, possa contare su un numero di elettori così limitato?
Nonostante si parli di un paese misconosciuto, il Guatemala non fa certo eccezione per quanto riguarda il potere dei soldi: chi più ne ha, più ne può spendere in comunicazione, così la UNE ha speso quasi 3 milioni di quetzales, il PP 1 milione, EG ne ha investiti solo 53mila.

La Menchù ha scelto di far parte del governo attuale (compromesso proprio dai gravi problemi di sicurezza sociale) come ambasciatrice per la pace dell'attuale presidente Oscar Berger. Vista la scia di sangue, non è stata una scelta felice.
Ancor più inquietante, poi, la decisione del Premio Nobel di tacere davanti alla denuncia della Audienca Nacional spagnola contro Rios Montt, una denuncia che lei stessa aveva portato avanti. Ha dichiarato di aver fatto questa scelta per “ragioni etiche”, ma molti guatemaltechi si chiedono se per caso c'entri la “tregua” che si dice essere stata firmata tra tutti i candidati presidenziali. Che sia vero o no, è comunque un'ombra molto pesante.Sfiducia generale
Ad ogni modo, l'indicatore più pericoloso lo si registra tra le strade, tra le piazze dei pueblos guatemaltechi, laddove la gente si riunisce spontaneamente, dove si chiacchiera di sementi e di potature, di pascoli e di mercati, di nuovi debiti e di future nascite.
È tra queste strade che si fa sempre più forte la voce “non cambierà, perchè qui è già tutto suddiviso”, accrescendo così il credito di chi racconta di aver visto deputati dei partiti più ricchi (UNE e PP) viaggiare di villaggio in villaggio consegnando regali di vario tipo, come fossero gadget promozionali.
Tutto il mondo è paese, si dice. Ma è anche vero che ci sono dei paesi che sanguinano e che nessuna elezione “comprata” potrà mai guarire.