martedì 26 giugno 2007

Riforme e Consenso:istruzioni per l'uso

Dall''elettore al telespettatore, ovvero come si è passati dalla ricerca del consenso alla conquista dello share.

Il consenso dei cittadini spesso è ignorato, presunto, dato per scontato. Nel migliore dei casi viene ricercato a posteriori attraverso sondaggi demoscopici, quando l'atto politico/di governo è già stato posto in essere. Si ricorre ai sondaggi d'opinione perchè non si ha più il polso della base elettorale, i partiti sono talmente lontani dai propri elettori che, per sapere quello che pensano, devono fargli telefonare da un istituto di ricerca escludendo in questo modo la possibilità (e il rischio) che le persone dicano quello che pensano realmente, incasellando la critica in un test a risposta chiusa. Dalla ricerca del consenso siamo passati alla conquista dello share trasformando l'elettore in spettatore, l'iscritto al partito in consumatore al mercato della politica, il militante in cliente: abbiamo svilito le tessere e l'appartenenza ai partiti per sostituirle con un telecomando. E il cittadino, giustamente, ha la sensazione che, in fondo, in tutti i canali ci sia sempre lo stesso programma perchè qualcuno ha deciso, sulla sua testa, cosa valga la pena trasmettere e cosa no. E che questo programma sia solo una scusa per vendergli a carissimo prezzo qualcosa che non gli serve.
In molti casi, a tutti i livelli, è accaduto che la riforma di turno sia stata pianificata, programmata, eseguita, e solo successivamente si sia ricercato il consenso degli elettori a supporto di un atto che è vissuto "di vita propria". E' emblematico il caso del termovalorizzatore di Ottana, in cui la Giunta Regionale ha individuato, a torto o a ragione non è questa la sede per discuterne, la necessità di costruire un Termovalorizzatore a Ottana, stabilendo linee guida, indicendo un bando per la progettazione, e aggiudicandolo. A questo punto, e solo a questo punto, si è ricercato il consenso dei cittadini che non sono stati interpellati nelle fasi preliminari. Questo metodo, oltre ad essere offensivo per la dignità dei cittadini elettori, è anche fallimentare sul piano dell'efficacia dell'azione politica: gli esclusi infatti percepiscono, giustamente, questa ricerca di consenso come un atto puramente formale, e ovviamente si uniscono in comitati "contro". E l'essere contro il termovalorizzatore si traduce poi nell'essere contro l'azione politica in toto, e contro i partiti che la portano avanti.
E' compito degli organismi politici/amministrativi informare correttamente e in modo equo i cittadini sulle motivazioni dell'azione politica/di governo. Occorre confrontarsi con le persone e stabilire un rapporto diretto con loro: spiegare le ragioni per cui si decide di compiere un atto, ed elencarne i benefici, ma anche i rischi; le opportunità, ma anche le minacce. E occorre, sopratutto, ascoltare le obiezioni, soppesarle, confrontarsi con gli elettori che dissentono ed eventualmente modificare l'azione politica. Il consenso, così come il dissenso, deve essere informato, motivato: la ricerca del consenso è molto più complessa ed articolata rispetto a quanto si può incasellare in un sondaggio d'opinione. Ascoltare richiede tempo, passione e disponibilità al confronto. E senza confronto non ci può essere consenso. Al termine del confronto può anche essere necessario andare avanti, ma questo deve essere fatto solo dopo aver ascoltato gli elettori, i cittadini, le persone.
Nessuno deve avere l'idea che la propria opinione non venga neanche ascoltata, e che comunque non conti. E' questa convinzione, infatti, che ha minato le radici del rapporto tra partiti e cittadini, che ha reso le persone apatiche, se non ostili, nei confronti di una classe politica diventata elitaria e estranea ad ogni rapporto con il mondo reale. Ed è questa convinzione che occorre eliminare stabilendo un rapporto diretto con gli elettori, senza mai stancarsi di parlare e spiegare, ma, sopratutto, senza mai stancarsi di ascoltare ed agire di conseguenza.

Gianstefano Monni

CONTRIBUTI E RIFLESSIONI PER UN PARTITO VERAMENTE NUOVO
In questa sezione ognuno di noi può postare le sue riflessioni, i suoi scritti, i suoi suggerimenti sulla forma, il modus operandi, le caratteristiche che il PD dovrebbe avere per essere veramente nuovo. I contributi postati sono emendabili, integrabili, e anche criticabili.

QUALE SINISTRA? (Quantità e qualità della sinistra in un partito "di massa")

Nel generale rimescolamento di dichiarazioni e posizionamenti seguito all'accelerazione sulla formazione del nuovo soggetto, mi ha colpito un concetto in particolare.
Esiste un punto di vista, ingenerosamente attribuito solo alla cosiddetta "sinistra radicale", ma che è più in generale attribuibile ai soggetti di sinistra che non si impegnano direttamente perchè la politica è un affare per pochi (sporco, per giunta),e che sono sempre "più a sinistra di qualcuno", e magari per effetto della sindrome di Cristoforo Colombo a forza di spingersi a sinistra percorrono l'orbe della politica fino a ritrovarsi a destra.
Il punto di vista è il seguente:
l'esperienza del Partito Democratico è nei fatti inutile poichè non vi è abbastanza sinistra nelle sue premesse e nella sua composizione; o perlomeno non c'è tutta la sinistra che serve al nostro Paese per affrontare una nuova fase di riforme vere e di sostanza.
A parte le considerazioni accessorie su questa posizione , paragonabile nel funzionamento causa-effetto a quella di una ragazza che ti dice "Ti lascio perchè non voglio farti soffrire", resta il dubbio se sia veramente importante la quantità di sinistra da "portare" nel nuovo soggetto, o se non sia piuttosto un problema di qualità della sinistra.
L'interrogativo è angosciante anche perchè, come le ciliegie, se ne tira dietro tanti altri a catena.
Il primo è: la qualità della sinistra espressa fino ad oggi, stante anche l'azione di governo espressa sia a livello locale che nazionale, è a livello delle ambizioni che la classe dirigente ha di proclamarsi "riformista" o "riformatrice" o "progressista"?
Posto che la risposta al quesito è necessariamente NO, cerchiamo di capire quale potrebbe essere la "forma" della sinistra capace di garantire qualità, e quindi riforme.
Innanzitutto se vogliamo riferirci a esperienze concrete possiamo senz'altro dire, come tanti notisti politici fanno notare da mesi, che i soggetti capaci di fare le riforme sono coloro i quali governano le situazioni per come si presentano e non per come si vorrebbe che fossero. Infatti, un deficit tipico della nostra classe politica è quello di appellarsi di volta in volta al programma di governo, per fregiarsi della patente di riformista, cosa che serve per alimentare visibilità, rendite di posizione e potere ricattatorio.
Emerge tra l'altro in questo frangente come questi comportamenti siano appannaggio tanto della sinistra radicale, tanto di forze cosiddette "moderate", in ultima analisi accomunate da percentuali elettorali piuttosto che da identità di vedute.
Ecco, il potenziale riformista dell'azione di governo, già di per sè ridotto a causa della "condizione Italia" che non consente interventi immediati, viene ulteriormente smembrato proprio a causa dell'incapacità "strutturale" di calibrare le riforme alla situazione oggettiva del Paese da parte dei nostri esponenti al governo: Politica estera,Tesoretto, Scalone delle pensioni, DICO, Liberalizzazioni sono vicende di governo esemplificative del pauroso deficit di cultura di governo nel centro sinistra.
Detto ciò personalmente non credo che un maggior tasso di sinistra in termini di "quantità", avrebbe sortito effetti migliori, dal momento che il compianto Berlinguer affermava, a ragione, che in Italia la sinistra non avrebbe governato neanche con il PCI al 51%.
Resta ora da proporre un esempio di sinistra di qualità; cosa non facile, dal momento che, come disse qualcuno, è molto facile dire cosa non vogliamo (un approccio simile alla formula battesimale del "rinuncio"?)ma è molto più difficile dire come vogliamo essere (in questo, ha ragione Rossana Rossanda, il PD è molto indietro).
Proviamo a rifletterci, però, magari per punti. Partiamo sciogliendo l'equivoco che spinge alcuni politici a confondere confronto, mediazione, compromesso, ricatto.
  • La mediazione assurge ad arte della politica quando sono chiari gli ambiti della mediazione. Esempio: sul territorio non si può mediare - Alta Velocità, MOSE, PPR Sardegna, Termovalorizzatore Ottana,
  • Le riforme in sè richiedono un sacrificio. La riforma è tale se lede interessi particolari in nome dell'interesse collettivo. Il PD deve avere la capacità di mirare all'interesse collettivo anche a costo di ledere interessi particolari (vedi post su riforme e consenso).

Tore Dessena