lunedì 16 luglio 2007

In questo articolo verranno esaminati i motivi per cui la scelta di costruire un inceneritore a Ottana inducè più di una perplessità. In particolare verranno esaminati i motivi per cui:
  1. la produzione di energia da biomasse suscita diversi dubbi.
  2. la scelta di collocare l'impianto a Ottana pone molti problemi in una zona già in evidente stato di difficoltà.


I. Riguardo la produzione di energia da biomasse ci occuperemo di:
  1. Biomasse forestali
  2. Biomasse no-food
  3. Il progetto per lo sfruttamento delle biomasse
  4. Gli utili prodotti dall'impianto


1. Le Biomasse Forestali.

La produzione di energia elettrica da biomasse forestali consiste nella raccolta di sostanze di origine vegetale dai boschi, nel loro conferimento nell'impianto di Ottana e nella successiva combustione con recupero dell'energia termica per la produzione di energia elettrica.

Nel Piano Energetico Ambientale Regionale (PEAR) redatto dall'Assessorato all'Industria, si afferma che con le biomasse forestali è alimentabile una potenza elettrica di 40MWe. Questa affermazione è basata sul fatto che l'Assessorato all'Ambiente, nel Piano Forestale Ambientale Regionale (PFAR) stima che sia disponibile in Sardegna una produzione di circa 300.000 tonnellate/anno (t/a) di biomasse forestali. Questa affermazione viene poi ripresa nelle "Specifiche Tecniche per la progettazione di una centrale termica integrata nell'area industriale di Ottana" (Linee Guida Generali) in cui si legge che a fianco degl impianti di combustione dei CDR devono essere previste una o più linee per la produzione di energia elettrica da biomasse:120.000 t/a di origine forestale e 80.000 t/a no-food.

Esaminiamo cosa dice il PFAR.

Nell'Allegato III del PFAR, intitolato "Analisi di massa delle biomasse forestali a scopo energetico" al paragrafo 1.1 si stima che dalla gestione dei boschi sull'intera regione "risulta traibile un potenziale massimo di biomassa oscillante tra 290.890 e 318.569 t/anno". Questo è il dato che sia il PEAR sia le Linee Guida Generali citano a sostegno della tesi secondo cui sarebbe opportuno prevedere un impianto di produzione di energia elettrica da biomasse di origine forestale. Tuttavia, gli stessi autori del PFAR, nel paragrafo 1 affermano che "le analisi riportate prescindono da qualunque valutazione di tipo economico, non essendo infatti prese in considerazione le problematiche legate alla logistica degli impianti, al costo degli interventi selvicolturali, al costo del conferimento in centrale, etc. I risultati ottenuti hanno pertanto carattere di investigazione preliminare sull'argomento e prescindono da qualunque verifica sulla convenienza economica degli interventi di installazione di centrali per produzione energetica alimentate da biomassa forestale".
In pratica, le 300.000 tonnellate/anno ci sono, ma la convenienza economica del loro trattamento per la produzione di energia elettrica non è in alcun modo investigata nè tantomeno, dimostrata. Non sappiamo quanto costa conferire le biomasse forestali negli impianti e non sappiamo quale sarà il costo finale dell'energia elettrica prodotta.
Che senso ha parlare di produzione di energia elettrica da biomasse se non si è valutato appieno quale è il costo finale dell'energia elettrica che verrà prodotta?
Se questa valutazione non viene fatta a priori il rischio è che "le valutazioni di tipo economico" rendano sconsigliabile, a posteriori, l'uso delle biomasse e che quindi la linea per le biomasse dell'impianto di Ottana sia antieconomica e debba essere o chiusa o riconvertita all'incenerimento del CDR, come è già successo a Brescia.

La questione delle biomasse forestali crea dunque alcune contraddizioni, infatti:

  1. nel PFAR si individua un quantitativo di biomasse di 300.000 t/a, e si afferma espressamente che questo dato è puramente quantitativo ma necessita di un approfondimento circa la valutazione dei costi di gestione, conferimento, ecc.
  2. nel PEAR si dice che queste 300.000 t/a potrebbero produrre 40MWe, ma che almeno una parte della potenza suddetta sarebbe preferibile venisse prodotta da piccoli impianti collocati nelle zone agricole.
  3. nella delibera n. 6/5 del 14.02.2006 si parla di una generica seconda linea a biomasse il cui 40% sia costituito da biomassa no-food, e il 60% di provenienza forestale.
  4. nella Premessa delle Linee Guida Generali si legge che a Ottana si devono produrre 20MWe incenerendo colture no-food e forestali. Qualche pagina più avanti, nel par. 1.2.2, si legge che risulta "più semplice l’individuazione di poli di risorsa locali, capaci di assicurare livelli di potenza di piccola scala (micro impianti di cogenerazione), piuttosto che la previsione di poche (1-2) centrali di media potenza (10-20 Mwe)". In pratica nelle Linee Guida Generali si stabilisce che 12 MWe (il 60% dell'energia prodotta dalle biomasse) debbano essere prodotti da biomasse forestali, ma subito dopo si afferma che questa produzione è scarsamente conveniente...

Gli estensori delle Linee Guida Generali affermano che le scelte da loro stessi indicate non sono convenienti. A questo punto è legittimo il dubbio che la produzione di energia elettrica da biomasse sia un'attività che nasce in perdita, e che possa tradursi o in una riconversione della linea delle biomasse verso l'incenerimento del CDR, o in un aggravio dei costi di smaltimento con conseguente aumento delle tariffe per i cittadini.


2. la produzione di energia da biomasse no-food
La scelta di produrre energia elettrica attraverso l'uso di biomasse in una regione in cui si vive una perenne carenza d'acqua comporta ovvi rischi di approvvigionamento: dovremmo usare la poca acqua che abbiamo per produrre energia elettrica che non ci serve, o per lo meno che ci serve sicuramente meno dell'acqua necessaria a produrla. Per poter valutare appieno la convenienza dell'uso di biomasse no-food per la produzione di energia elettrica occorrerebbe valutarne il "costo in acqua", ovvero quanto costa 1 MWe di energia prodotta in termini di acqua consumata. Questa valutazione, non presente nelle Linee Guida Generali, nè indicata nei progetti presentati, renderebbe palese un costo per la collettività dei Sardi: l'acqua usata per le biomasse no-food sarebbe sottratta ad altre colture e a filiere ad alto valore aggiunto. Se vogliamo produrre energia pulita, è meglio usare ciò che abbiamo in abbondanza, ad esempio il vento, con gli impianti eolici, e il sole, con gli impianti fotovoltaici, e conserviamo l'acqua per scopi più importanti.


3. Il progetto di sfruttamento delle biomasse
Le Linee Guida Generali stabiliscono che "La proposta progettuale dovrà prevedere delle linee dedicate alla valorizzazione delle biomasse nel rispetto delle caratteristiche qualitative e quantitative precisate nel capitolo relativo alle biomasse. Sarà cura del proponente individuare la tecnologia più adatta per l’utilizzo delle stesse biomasse, ovvero il
numero di linee da installare, la tipologia del forno, e il sistema di trattamento degli effluenti solidi, liquidi e gassosi. "
In pratica i partecipanti alla gara hanno piena libertà nell'elaborazione di un sistema di gestione delle biomasse, però devono garantire:
  1. di produrre almeno 20MWe dalle biomasse
  2. di usare 120.000 t/a di biomasse forestali
  3. di produrre il 40% dell'energia da biomasse agricole
Nel rispetto dei vincoli indicati, i partecipanti alla gara devono formulare un progetto il più possibile articolato e dettagliato circa l'uso delle biomasse.
Tuttavia alcuni dei membri della commissione che ha aggiudicato il progetto, in una lettera riservata indirizzata al presidente della Commissione Aggiudicatrice, affermano che il progetto presentato non prevede il necessario dettaglio sulla linea per le biomasse. Inoltre l'Ing. Gianni Mura, rappresentante tecnico incaricato dal Comune di Ottana in seno alla commissione , in un articolo de l'Unione Sarda del 12.06.2006 afferma «Alle biomasse non crede nessuno. Il bando è molto preciso sulle tecnologie relative ai rifiuti, mentre sulle biomasse chiede indicazioni ai concorrenti. Nessuna delle proposte in gara ha rispettato il bando».


4. Sugli utili prodotti dall'impianto
Nei primi 11 anni ci dovrebbero essere di 62 milioni di euro di utili, così ripartiti: 13 milioni provenienti dalle tariffe (56,40 euro per tonnellata), 20 milioni dalla vendita di energia e 28 milioni, ovvero la quota più cospicua, dai certificati verdi (ROC), premi europei per chi produce energia utilizzando fonti rinnovabili. Nello stesso articolo Mura afferma che «Visto il dibattito in atto, è possibile che i certificati verdi vengano eliminati. Significa che quei 28 milioni di euro dovranno arrivare da altre entrate attraverso l'aumento delle tariffe.


II. Sulla scelta di Ottana
Fermi restando tutti i dubbi precedentemente espressi, riguardanti l'incenerimento in quanto tale, e la convenienza nell'usare in Sardegna biomasse per produrre energia elettrica, esistono anche forti perplessità riguardo la scelta di collocare l'impianto a Ottana:
  1. la collocazione dell'impianto in relazione alla distribuzione della produzione dei rifiuti a livello regionale
  2. l'impatto ambientale in una zona già altamente inquinata
  3. le ricadute sulle produzioni alimentari e sui livelli occupazionali della zona

1. La collocazione dell'impianto in relazione alla distribuzione della produzione di rifiuti a livello regionale

Nel 7° RAPPORTO SULLA GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI IN SARDEGNA - ANNO 2005 viene, tra le altre cose, riportata anche la ripartizione della produzione dei rifiuti per Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), coincidenti con le vecchie province.
Dal grafico emerge che, su una produzione annuale (2005) di 875.000 tonnellate, l’ATO di Cagliari (A, nel grafico) incide per il 47%, Sassari (D) per il 31%, mentre Nuoro (B) e Oristano (C) rispettivamente per il 14% e per l’8%. Il dato è identico a quello rilevato negli anni passati.
La scelta di Ottana, ricadente nell'ATO di Nuoro, comporta la movimentazione del 31% di tutti i rifiuti i prodotti nell'isola. Una collocazione più accurata dell'impianto di incenerimento comporterebbe una minore movimentazione dei rifiuti, con conseguente risparmio energetico e minore impatto ambientale.








2. L'impatto ambientale in una zona già inquinata
La zona di Ottana rientra già tra quelle ad alto impatto ambientale. La collocazione dell'inceneritore costituirebbe un ulteriore aggravio della pressione ambientale e dei livelli di inquinamento, che aumenterebbero per due ordini di motivi:
  1. le emissioni dell'inceneritore
  2. le emissioni dei mezzi necessari per portare i rifiuti in ingresso (CDR) e in uscita (ceneri)
Occorre notare che le emissioni inquinanti legate al trasporto dei rifiuti avrebbero un impatto lungo tutto il percorso dei mezzi, ma si concentrerebbero comunque nella zona di Ottana: tutte le 400.000 tonnellate/anno (contando le biomasse) di rifiuti e le 60.000 tonnellate/anno di ceneri arriverebbero/partirebbero da Ottana.
Aumentare i livelli di inquinamento in una zona già inquinata comporta un aumento del tasso di rischio per le popolazioni interessate sicuramente maggiore di quello che si avrebbe collocando l'impianto in altre zone meno degradate dal punto di vista ambientale, infatti aumentando le fonti inquinanti aumenta anche la probabilità di sforare le soglie ammissibili.


3. Le ricadute sulle produzioni alimentari e sui livelli occupazionali della zona
Con l'aumento dei tassi di inquinamento, in particolare diossine e nanopolveri emesse dall'inceneritore e diossine emesse dai mezzi di movimentazione dei rifiuti, la filiera latto-casearia risulterebbe compromessa. Le produzioni agroalimentari e l'indotto legato ad esse subirebbero un danno anche occupazionale ben maggiore dei 40 posti di lavoro creati dall'impianto di incenerimento dei rifiuti. Questo danno occupazionale andrebbe a ricadere su una realtà già depressa, togliendo ai residenti in quelle zone l'unico sbocco occupazionale possibile.


Il prossimo articolo tratterà della necessità di produrre altra energia elettrica in Sardegna, e delle alternative allo smaltimento dei rifiuti attraverso l'incenerimento.