domenica 22 luglio 2007

Il Trattamento Meccanico Biologico: una valida alternativa agli inceneritori



Negli articoli precedenti sono stati presentati i dubbi circa i rischi per la salute legati all'incenerimento dei rifiuti, i dubbi circa le biomasse e quelli circa la scelta di Ottana. In questo articolo si sarebbero dovute affrontare le questioni circa la necessità e l'opportunità di produrre a Ottana altra energia elettrica. Tuttavia nella riunione tenutasi presso l'Enichem di Ottana il 13.07.2007 anche il Governatore Soru ha affermato che, con l'andamento a regime della centrale Clivati, è venuta meno la necessità di produrre altra energia elettrica a Ottana. Durante lo stesso intervento Soru ha riconosciuto che dall'impianto di Ottana "è ragionevole eliminare la linea delle biomasse" e che i tecnici della RAS valuteranno questa ipotesi, riducendo quindi la potenza della CTI dai 40MWe previsti a 20 MWe (quelli generati dall'incenerimento del CDR).
L'inceneritore, quindi, non è più visto come un sistema per smaltire i rifiuti e produrre energia elettrica (da cui la scelta dell'impianto di Ottana nel PEAR), ma finalmente solo come un modo per smaltire i rifiuti. L'eventuale produzione di energia elettrica mediante l'incenerimento dei rifiuti è, forse, un vantaggio, ma di certo non il motivo per cui lo si dovrebbe scegliere, visto che a Ottana non c'è necessità di avere altra energia.

Levate dal campo la presunta necessità di produrre energia elettrica e l'illusione di creare nuovi posti di lavoro, si può ragionare su quale sia la migliore soluzione ad un problema reale che va affrontato seriamente e risolto nel migliore dei modi. Questo articolo è un modesto tentativo di proporre un modo per smaltire i rifiuti che non comporti tutti i rischi sanitari precedentemente esposti.

Come già detto, il problema più grave legato all'incenerimento è dovuto all'emissione di sostanze tossiche (diossina e nanopolveri) nell'aria. L'altro grande problema è il fatto che il 30% circa di ciò che viene conferito in un inceneritore deve essere smaltito in discariche speciali. Il processo di incenerimento, infatti, produce delle scorie altamente tossiche che non possono essere smaltite in discariche comuni, ma vanno collocate in discariche "speciali". Gli inceneritori, quindi, non risolvono il problema delle discariche, lo complicano, sopratutto in una regione come la Sardegna.

La soluzione che qui si intende proporre si chiama Trattamento Meccanico Biologico (TMB): un insieme di tecnologie in grado di recuperare circa il 70% dei materiali in ingresso. Questo rapporto, pubblicato in Inghilterra nel febbraio del 2003 e tradotto in italiano in occasione della Quarta Giornata Mondiale contro l'Incenerimento dei Rifiuti dimostra, attraverso una dettagliata descrizione tecnica, come a completamento di sistemi di riduzione all'origine e di capillare raccolta differenziata dei rifiuti possa operare un impianto di trattamento degli scarti residui in grado di recuperare circa il 70% dei materiali in ingresso.
Il TMB non emette gas tossici o nanopolveri nell'aria, e non ha necessità di essere alimentato da un quantitativo costante di rifiuti, come invece ha l'inceneritore. L'incenerimento dei rifiuti, infatti, richiede che, anche a fronte di una auspicata riduzione dei rifiuti in ingresso, sia comunque necessario garantire un flusso costante di rifiuti. In pratica, se non si producono abbastanza rifiuti (ovvero se la produzione decresce grazie alla raccolta differenziata) occorre importarli da fuori per fare in modo che l'inceneritore bruci la quantità prevista di CDR. Questo è evidentemente un assurdo: da una parte si dice di voler ridurre il quantitativo di rifiuti attraverso la raccolta differenziata, dall'altra invece si costruisce un impianto che ha bisogno di un flusso costante di rifiuti.

Il TMB è un sistema di riciclaggio e riuso non inquinante, e che si integra perfettamente con la raccolta differenziata, e che è già una realtà in diverse parti del mondo: qui esamineremo brevemente le soluzioni adottate negli Stati Uniti a San Francisco, e in Australia a Sidney.

Nell'impianto di San Francisco vengono trattate in media 1.200 tonnellate al giorno (440.000 t/a) di rifiuti. Originariamente la raccolta porta-porta richiedeva che le persone mettessero carta, vetro e lattine in cestini separati. Questa soluzione comportava un maggiore grado di collaborazione e di impegno da parte dei cittadini, ma, attualmente la via più conveniente è la raccolta a "flusso unico" . I rifiuti, con la sola eccezione dell'umido, vengono collocati dai cittadini in un contenitore unico che viene conferito nell'impianto, ed il cui contenuto viene separato e identificato attraverso il lavoro di un sistema meccanico e di 110 operai. La raccolta a flusso unico semplifica la vita dei cittadini, e contemporaneamente consente di recuperare più materiali: questo sistema infatti ha consentito alla città di San Francisco di raggiungere il 69% di raccolta differenziata, una delle percentuali più alte in America (dato riportato su questo articolo dell'Economist).

L'impianto di Sidney è stato realizzato con un investimento di circa 70 milioni di dollari ed è in grado di trattare un quantitativo di rifiuti non differenziati di circa 250.000 t/a. Il primo impianto di questo tipo ha iniziato a trattare i rifiuti proprio nel settembre del 2004 ma recentemente un impianto analogo è stato appaltato dalle autorità pubbliche del Lancashire in Inghilterra. La tecnologia sta facendo registrare un notevole successo di mercato non solo in Australia e in Asia ma anche in Inghilterra dove molte comunità si stanno battendo contro l’incenerimento dei rifiuti.
A Sidney vi è una raccolta differenziata in crescita ma ancora in corso di miglioramento per superare quote più elevate del 30%. Pertanto il rifiuto in ingresso che va all’impianto è paragonabile a “rifiuto tal quale”. In questo quadro ciò che entra nell’impianto è per circa il 50% scarto di cibi e per il resto è formato da plastiche, carta e cartoni, vetro, metalli e tessili ecc. Nel corso del trattamento vi è una riduzione in peso di circa il 48% per effetto della evaporazione e della perdita di CO2.
Si invia al riciclaggio circa il 13% del totale dei rifiuti in ingresso cosi’ suddiviso :
  • 4% di carta,
  • 3% di metalli,
  • 1- 2% di plastiche,
  • 2% di vetro e
  • 2% di altro (legno, tessili);
Si produce circa un 4% di biogas (riferito al peso totale dei rifiuti in ingresso); 13% di compost con valore agronomico; 17% di frazione organica stabilizzata (FOS) utilizzata per la ricopertura della discarica; 8% di rifiuti da smaltire in discarica costituiti da inerti e da plastiche il cui riciclaggio è problematico.
In pratica, da ogni tonnellata di rifiuti che entra in discarica, escono:
  • circa 450 Kg emessi nell'aria sotto forma di Anidride Carbonica e Vapore acqueo: non vi sono emissioni di sostanze inquinanti o di nanopolveri.
  • circa 300 Kg di materiale riusabile o riciclabile.
  • circa 250 Kg tra FOS e rifiuti non riciclabili, collocabili in comuni discariche, non essendo un rifiuto tossico (come invece sarebbero i 300 Kg in uscita dall'inceneritore).

La sostanziale differenza tra l'approccio con l'inceneritore e quello con il TMB è che il rifiuto nel primo caso è uno scarto da bruciare, nel secondo invece è un'opportunita cui applicare le pratiche del riciclo e del riuso. Queste pratiche, accompagnate da opportune politiche di riduzione dei rifiuti, possono portare all'obiettivo "Rifiuti Zero": una sfida che può essere vinta, come dimostrano esperienze in tutto il mondo, e che va comunque combattuta, soprattutto da un'Amministrazione che ha fatto della difesa dell'Ambiente uno dei suoi cavalli di battaglia. E' molto importante, infatti, salvare le coste e così incrementare il turismo. Ma è fondamentale salvare ciò che le coste delimitano: la nostra terra e tutte quelle creature che hanno la fortuna di viverci sopra per tutta la vita, non solo per un mese l'anno.


lunedì 16 luglio 2007

In questo articolo verranno esaminati i motivi per cui la scelta di costruire un inceneritore a Ottana inducè più di una perplessità. In particolare verranno esaminati i motivi per cui:
  1. la produzione di energia da biomasse suscita diversi dubbi.
  2. la scelta di collocare l'impianto a Ottana pone molti problemi in una zona già in evidente stato di difficoltà.


I. Riguardo la produzione di energia da biomasse ci occuperemo di:
  1. Biomasse forestali
  2. Biomasse no-food
  3. Il progetto per lo sfruttamento delle biomasse
  4. Gli utili prodotti dall'impianto


1. Le Biomasse Forestali.

La produzione di energia elettrica da biomasse forestali consiste nella raccolta di sostanze di origine vegetale dai boschi, nel loro conferimento nell'impianto di Ottana e nella successiva combustione con recupero dell'energia termica per la produzione di energia elettrica.

Nel Piano Energetico Ambientale Regionale (PEAR) redatto dall'Assessorato all'Industria, si afferma che con le biomasse forestali è alimentabile una potenza elettrica di 40MWe. Questa affermazione è basata sul fatto che l'Assessorato all'Ambiente, nel Piano Forestale Ambientale Regionale (PFAR) stima che sia disponibile in Sardegna una produzione di circa 300.000 tonnellate/anno (t/a) di biomasse forestali. Questa affermazione viene poi ripresa nelle "Specifiche Tecniche per la progettazione di una centrale termica integrata nell'area industriale di Ottana" (Linee Guida Generali) in cui si legge che a fianco degl impianti di combustione dei CDR devono essere previste una o più linee per la produzione di energia elettrica da biomasse:120.000 t/a di origine forestale e 80.000 t/a no-food.

Esaminiamo cosa dice il PFAR.

Nell'Allegato III del PFAR, intitolato "Analisi di massa delle biomasse forestali a scopo energetico" al paragrafo 1.1 si stima che dalla gestione dei boschi sull'intera regione "risulta traibile un potenziale massimo di biomassa oscillante tra 290.890 e 318.569 t/anno". Questo è il dato che sia il PEAR sia le Linee Guida Generali citano a sostegno della tesi secondo cui sarebbe opportuno prevedere un impianto di produzione di energia elettrica da biomasse di origine forestale. Tuttavia, gli stessi autori del PFAR, nel paragrafo 1 affermano che "le analisi riportate prescindono da qualunque valutazione di tipo economico, non essendo infatti prese in considerazione le problematiche legate alla logistica degli impianti, al costo degli interventi selvicolturali, al costo del conferimento in centrale, etc. I risultati ottenuti hanno pertanto carattere di investigazione preliminare sull'argomento e prescindono da qualunque verifica sulla convenienza economica degli interventi di installazione di centrali per produzione energetica alimentate da biomassa forestale".
In pratica, le 300.000 tonnellate/anno ci sono, ma la convenienza economica del loro trattamento per la produzione di energia elettrica non è in alcun modo investigata nè tantomeno, dimostrata. Non sappiamo quanto costa conferire le biomasse forestali negli impianti e non sappiamo quale sarà il costo finale dell'energia elettrica prodotta.
Che senso ha parlare di produzione di energia elettrica da biomasse se non si è valutato appieno quale è il costo finale dell'energia elettrica che verrà prodotta?
Se questa valutazione non viene fatta a priori il rischio è che "le valutazioni di tipo economico" rendano sconsigliabile, a posteriori, l'uso delle biomasse e che quindi la linea per le biomasse dell'impianto di Ottana sia antieconomica e debba essere o chiusa o riconvertita all'incenerimento del CDR, come è già successo a Brescia.

La questione delle biomasse forestali crea dunque alcune contraddizioni, infatti:

  1. nel PFAR si individua un quantitativo di biomasse di 300.000 t/a, e si afferma espressamente che questo dato è puramente quantitativo ma necessita di un approfondimento circa la valutazione dei costi di gestione, conferimento, ecc.
  2. nel PEAR si dice che queste 300.000 t/a potrebbero produrre 40MWe, ma che almeno una parte della potenza suddetta sarebbe preferibile venisse prodotta da piccoli impianti collocati nelle zone agricole.
  3. nella delibera n. 6/5 del 14.02.2006 si parla di una generica seconda linea a biomasse il cui 40% sia costituito da biomassa no-food, e il 60% di provenienza forestale.
  4. nella Premessa delle Linee Guida Generali si legge che a Ottana si devono produrre 20MWe incenerendo colture no-food e forestali. Qualche pagina più avanti, nel par. 1.2.2, si legge che risulta "più semplice l’individuazione di poli di risorsa locali, capaci di assicurare livelli di potenza di piccola scala (micro impianti di cogenerazione), piuttosto che la previsione di poche (1-2) centrali di media potenza (10-20 Mwe)". In pratica nelle Linee Guida Generali si stabilisce che 12 MWe (il 60% dell'energia prodotta dalle biomasse) debbano essere prodotti da biomasse forestali, ma subito dopo si afferma che questa produzione è scarsamente conveniente...

Gli estensori delle Linee Guida Generali affermano che le scelte da loro stessi indicate non sono convenienti. A questo punto è legittimo il dubbio che la produzione di energia elettrica da biomasse sia un'attività che nasce in perdita, e che possa tradursi o in una riconversione della linea delle biomasse verso l'incenerimento del CDR, o in un aggravio dei costi di smaltimento con conseguente aumento delle tariffe per i cittadini.


2. la produzione di energia da biomasse no-food
La scelta di produrre energia elettrica attraverso l'uso di biomasse in una regione in cui si vive una perenne carenza d'acqua comporta ovvi rischi di approvvigionamento: dovremmo usare la poca acqua che abbiamo per produrre energia elettrica che non ci serve, o per lo meno che ci serve sicuramente meno dell'acqua necessaria a produrla. Per poter valutare appieno la convenienza dell'uso di biomasse no-food per la produzione di energia elettrica occorrerebbe valutarne il "costo in acqua", ovvero quanto costa 1 MWe di energia prodotta in termini di acqua consumata. Questa valutazione, non presente nelle Linee Guida Generali, nè indicata nei progetti presentati, renderebbe palese un costo per la collettività dei Sardi: l'acqua usata per le biomasse no-food sarebbe sottratta ad altre colture e a filiere ad alto valore aggiunto. Se vogliamo produrre energia pulita, è meglio usare ciò che abbiamo in abbondanza, ad esempio il vento, con gli impianti eolici, e il sole, con gli impianti fotovoltaici, e conserviamo l'acqua per scopi più importanti.


3. Il progetto di sfruttamento delle biomasse
Le Linee Guida Generali stabiliscono che "La proposta progettuale dovrà prevedere delle linee dedicate alla valorizzazione delle biomasse nel rispetto delle caratteristiche qualitative e quantitative precisate nel capitolo relativo alle biomasse. Sarà cura del proponente individuare la tecnologia più adatta per l’utilizzo delle stesse biomasse, ovvero il
numero di linee da installare, la tipologia del forno, e il sistema di trattamento degli effluenti solidi, liquidi e gassosi. "
In pratica i partecipanti alla gara hanno piena libertà nell'elaborazione di un sistema di gestione delle biomasse, però devono garantire:
  1. di produrre almeno 20MWe dalle biomasse
  2. di usare 120.000 t/a di biomasse forestali
  3. di produrre il 40% dell'energia da biomasse agricole
Nel rispetto dei vincoli indicati, i partecipanti alla gara devono formulare un progetto il più possibile articolato e dettagliato circa l'uso delle biomasse.
Tuttavia alcuni dei membri della commissione che ha aggiudicato il progetto, in una lettera riservata indirizzata al presidente della Commissione Aggiudicatrice, affermano che il progetto presentato non prevede il necessario dettaglio sulla linea per le biomasse. Inoltre l'Ing. Gianni Mura, rappresentante tecnico incaricato dal Comune di Ottana in seno alla commissione , in un articolo de l'Unione Sarda del 12.06.2006 afferma «Alle biomasse non crede nessuno. Il bando è molto preciso sulle tecnologie relative ai rifiuti, mentre sulle biomasse chiede indicazioni ai concorrenti. Nessuna delle proposte in gara ha rispettato il bando».


4. Sugli utili prodotti dall'impianto
Nei primi 11 anni ci dovrebbero essere di 62 milioni di euro di utili, così ripartiti: 13 milioni provenienti dalle tariffe (56,40 euro per tonnellata), 20 milioni dalla vendita di energia e 28 milioni, ovvero la quota più cospicua, dai certificati verdi (ROC), premi europei per chi produce energia utilizzando fonti rinnovabili. Nello stesso articolo Mura afferma che «Visto il dibattito in atto, è possibile che i certificati verdi vengano eliminati. Significa che quei 28 milioni di euro dovranno arrivare da altre entrate attraverso l'aumento delle tariffe.


II. Sulla scelta di Ottana
Fermi restando tutti i dubbi precedentemente espressi, riguardanti l'incenerimento in quanto tale, e la convenienza nell'usare in Sardegna biomasse per produrre energia elettrica, esistono anche forti perplessità riguardo la scelta di collocare l'impianto a Ottana:
  1. la collocazione dell'impianto in relazione alla distribuzione della produzione dei rifiuti a livello regionale
  2. l'impatto ambientale in una zona già altamente inquinata
  3. le ricadute sulle produzioni alimentari e sui livelli occupazionali della zona

1. La collocazione dell'impianto in relazione alla distribuzione della produzione di rifiuti a livello regionale

Nel 7° RAPPORTO SULLA GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI IN SARDEGNA - ANNO 2005 viene, tra le altre cose, riportata anche la ripartizione della produzione dei rifiuti per Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), coincidenti con le vecchie province.
Dal grafico emerge che, su una produzione annuale (2005) di 875.000 tonnellate, l’ATO di Cagliari (A, nel grafico) incide per il 47%, Sassari (D) per il 31%, mentre Nuoro (B) e Oristano (C) rispettivamente per il 14% e per l’8%. Il dato è identico a quello rilevato negli anni passati.
La scelta di Ottana, ricadente nell'ATO di Nuoro, comporta la movimentazione del 31% di tutti i rifiuti i prodotti nell'isola. Una collocazione più accurata dell'impianto di incenerimento comporterebbe una minore movimentazione dei rifiuti, con conseguente risparmio energetico e minore impatto ambientale.








2. L'impatto ambientale in una zona già inquinata
La zona di Ottana rientra già tra quelle ad alto impatto ambientale. La collocazione dell'inceneritore costituirebbe un ulteriore aggravio della pressione ambientale e dei livelli di inquinamento, che aumenterebbero per due ordini di motivi:
  1. le emissioni dell'inceneritore
  2. le emissioni dei mezzi necessari per portare i rifiuti in ingresso (CDR) e in uscita (ceneri)
Occorre notare che le emissioni inquinanti legate al trasporto dei rifiuti avrebbero un impatto lungo tutto il percorso dei mezzi, ma si concentrerebbero comunque nella zona di Ottana: tutte le 400.000 tonnellate/anno (contando le biomasse) di rifiuti e le 60.000 tonnellate/anno di ceneri arriverebbero/partirebbero da Ottana.
Aumentare i livelli di inquinamento in una zona già inquinata comporta un aumento del tasso di rischio per le popolazioni interessate sicuramente maggiore di quello che si avrebbe collocando l'impianto in altre zone meno degradate dal punto di vista ambientale, infatti aumentando le fonti inquinanti aumenta anche la probabilità di sforare le soglie ammissibili.


3. Le ricadute sulle produzioni alimentari e sui livelli occupazionali della zona
Con l'aumento dei tassi di inquinamento, in particolare diossine e nanopolveri emesse dall'inceneritore e diossine emesse dai mezzi di movimentazione dei rifiuti, la filiera latto-casearia risulterebbe compromessa. Le produzioni agroalimentari e l'indotto legato ad esse subirebbero un danno anche occupazionale ben maggiore dei 40 posti di lavoro creati dall'impianto di incenerimento dei rifiuti. Questo danno occupazionale andrebbe a ricadere su una realtà già depressa, togliendo ai residenti in quelle zone l'unico sbocco occupazionale possibile.


Il prossimo articolo tratterà della necessità di produrre altra energia elettrica in Sardegna, e delle alternative allo smaltimento dei rifiuti attraverso l'incenerimento.

lunedì 9 luglio 2007

Termovalorizzatori...

L'inceneritore di Ottana

Parte I - Cinque fatti sull'incenerimento dei rifiuti.

Dopo la delibera della RAS in cui, di fatto, si dà il via al progetto del Termovalorizzatore di Ottana, molti sono quelli che si sono schierati contro l'impianto e molti sostengono che comunque una soluzione per lo smaltimento dei rifiuti debba essere trovata. E' evidente che il tema dei rifiuti va affrontato seriamente e che un'amministrazione consapevole deve valutarlo in tutti i suoi aspetti. L'uso del termovalorizzatore non come sostituivo della raccolta differenziata ma come ultimo anello della catena dei rifiuti per eliminare ciò che non si riesce a riciclare può apparire interessante, ma sul tema ci sono diverse questioni aperte. Quello che segue è un tentativo, indipendente, di capire come stanno le cose.


In pratica un termovalorizzatore è un inceneritore che brucia il residuo non riciclabile dei rifiuti, chiamato CDR (Combustibile Derivato dai Rifiuti) recuperando parte dell'energia termica generata nella combustione e convertendola in energia elettrica da immettere nella rete di distribuzione. Per fugare ogni dubbio, è bene dire che la termovalorizzazione richiede l'incenerimento. Per questa ragione, in questo articolo, termovalorizzatore e inceneritore sono da considerarsi sinonimi, così come sono sinonimi termovalorizzazione e incenerimento. Per evitare confusione da questo momento in poi si useranno solo i termini inceneritore e incenerimento.


Sul tema dell'inceneritore di Ottana esistono diverse questioni aperte. Una possibile divisione in gruppi:

  1. Questioni sul processo di incenerimento in quanto tale
  2. Questioni circa le biomasse e l'energia prodotta
  3. Dubbi sulla scelta di Ottana e sul metodo scelto dalla Giunta Regionale
In ultima analisi, occorre chiedersi se l'incenerimento è l'unica tecnica possibile per smaltire i residui non differenziabili dalla raccolta dei Rifiuti Solidi Urbani (RSU).


Il processo di incenerimento.

  1. E' vero che durante la combustione vengono generati dei gas (in particolare diossine)?
  2. E' vero che dai filtri, insieme ai gas, fuoriescono anche delle nanoparticelle che sono pericolose per la salute?
  3. Esistono prove serie e studi attendibili che mettano in relazione la presenza degli inceneritori e danni alla salute?
  4. Per ogni tonnellata di CDR, circa 250 Kg sono di ceneri altamente tossiche. Cosa ne facciamo delle ceneri, come le smaltiamo e dove ?
  5. Il Termovalorizzatore di Brescia, citato ad esempio è davvero così esemplare


1. Durante l'incenerimento vengono generati dei gas che vengono emessi nell'aria, dopo essere stati filtrati. Il filtraggio di questi gas non azzera, in nessun caso, la diossina che quindi, insieme ad altri veleni, si ritrova nell'aria: dall'aria decade sul terreno, ed entra nella catena alimentare. Anche usando come riferimento un documento certamente non di parte nè schierato contro gli inceneritori quale il rapporto delle migliori tecniche (BAT, Best Available Techniques) per l'incenerimento dei rifiuti redatto nell'Agosto 2006 dalla Commissione Europea, risulta comunque che nel processo di incenerimento vengono emesse diossine nell'aria. Inoltre l'Unione Europea, in un documento intitolato Inventario europeo delle diossine, stima che il trattamento dei rifiuti (e in particolare l'incenerimento) e il settore industriale (in particolare il siderurgico) sono i massimi responsabili dell'emissione in atmosfera di diossine: «Nonostante i considerevoli sforzi degli ultimi anni per ridurre le emissioni degli inceneritori di rifiuti solidi urbani questo tipo di fonte continua a dominare l'immissione di diossine in atmosfera».
Occorre notare che la diossina, a causa dell'alta affinità per le sostanze grasse, entra nella catena alimentare: in virtù di questa proprietà, la diossina emessa nell'ambiente dall'inceneritore di Ottana si concentrerebbe nella catena alimentare, ad esempio nella filiera latto-casearia: il latte (e tutti i suoi derivati, ovviamente) prodotti da bestiame che si ciba di foraggi provenienti da zone in cui ci sono ricadute di diossina conterranno diossina. L'emissione di diossina attraverso l'incenerimento è un fatto.

2. Quando una sostanza organica (contenente principalmente carbonio, azoto, idrogeno, e ossigeno) brucia vengono rilasciate molecole più piccole e generalmente biodegradabili (anche se inquinanti). Se la sostanza contiene anche una frazione rilevante di materiali inorganici (come dei metalli), i prodotti della combustione possono portare, specialmente se ad alte temperature, ad aggregati atomici e leghe metalliche , che non sono biodegradabili, e vengono disperse in ambiente sotto forma di aerosol. Questi aggregati hanno una dimensione dell'ordine dei nanometri (miliardesimi di metro), da cui il nome nanoparticelle.

Le nanoparticelle possono ritrovarsi un po' ovunque, nello scatolame a causa della sua usura, in alcuni farmaci come eccipienti, nel fumo di sigaretta e degli inceneritori, nel pesce di mare, in prossimità di vulcani: la lista è potenzialmente infinita. La presenza delle nanoparticelle nel fumo che fuoriesce dagli inceneritori non è in discussione, è un dato di fatto: nel già citato rapporto della Commissione Europea sulle BAT per l'incenerimento, nel par. 3.2.2.1, vengono individuati oltre 20 sostanze diverse che vengono emesse nell'aria. Tra queste, oltre la diossina, sono presenti il Cadmio, l'Arsenico,il Piombo, il Cobalto, il Cromo e il Mercurio. Parecchi di questi elementi (cadmio, arsenico ecc.) sono cancerogeni noti o sospettati; altri sono noti per la loro neuro-tossicità. Gli ossidi di azoto e l’ozono che ne deriva agiscono sull’apparato respiratorio e cardiovascolare favorendo patologie infiammatorie e degenerative. L'emissione di nanoparticelle (particolato) di metalli pesanti e cancerogeni attraverso l'incenerimento è un fatto.


3. Riguardo agli studi che mettano in relazione inceneritori e salute umana, esistono centinaia di articoli nella letteratura scientifica. Tra i più recenti:
  • nell'International journal of hygiene and environmental health, del Maggio 2007 viene riportato un articolo scritto da ricercatori dell' Istituto di Medicina Preventiva, Facoltà di Medicina, Università di Lisbona. Nello studio, relativo ai livelli di cadmio, mercurio e piombo osservati nella popolazione umana vicina a due inceneritori si conclude che "paragonati con i dati di riferimento in condizioni simili, i livelli osservati di cadmio, piombo e mercurio presenti nel sangue, sembrano essere relativamente più alti, sia per i valori medi che per quelli estremi"
  • nella rivista italiana di Epiemiologia e prevenzione di Maggio-Giugno 2006, viene pubblicato uno studio del Dipartimento di medicina ambientale, Università di Padova in cui si osserva nella popolazione femminile di Venezia e Mestre un "eccesso statistico del Sarcoma ai Tessuti molli tra le donne nella categoria a più alta esposizione" e questo viene messo in relazione all'esposizione ambientale.
  • nella rivista italiana di Epiemiologia e prevenzione di Luglio-Agosto 2005 viene pubblicato uno studio dell'UO Biostatistica, CSPO,Istituto scientifico Regione Toscana e Dipartimento di statistica G. Parenti, Università di Firenze, in cui emerge che nel periodo 1986-1992 si è osservato nella zona di Campi Bisenzio un picco localizzato di morti per il linfoma non-Hodgkin tra la popolazione maschile. Nello stesso comune, un inceneritore di rifiuti urbani era operativo dal 1973 al 1986, quando è stato chiuso si sono rilevate le prove di contaminazione di diossina nel suolo
  • nell'Emidemiology Journal del Maggio 2004 viene riportato uno studio dell'Istituto Nazionale di salute Pubblica giapponese fatto sugli inceneritori in Giappone (ad alto contenuto tecnologico). Nell'articolo si legge che nella zona osservata, con tutte le cautele del caso, si osserva una diminuzione del rischio delle morti tra i nenonati con l'aumento della distanza dall'inceneritore. Ovvero, più si vive vicini all'inceneritore (con un picco tra 1-2 Km) e più si rischia di osservare morti tra i neonati.
In pratica, vicino agli inceneritori, sono a rischio i neonati, le donne e gli uomini... L'entità del rischio non è ancora stata quantificata esattamente, ma il rischio per la salute legato alla presenza di un inceneritore è un fatto.

4. Riguardo alle ceneri.
Per ogni tonnellata di rifiuti incenerita si ha un aumento dei volumi, ottenendo:
- Una tonnellata circa di emissioni gassose dai camini
- Circa 250 Kg di scorie e ceneri tossiche
La presenza dell'inceneritore di Ottana richiede lo smaltimento di circa 25.000 t/anno di rifiuti speciali. In trent'anni ci saranno 750.000 t di rifiuti speciali da portare in discarica, e in Sardegna non esiste discarica in grado di ospitare un quantitativo così elevato di questo materiale: per accogliere questo tipo di materiale di scarto occorrono infatti discariche speciali che diano garanzie di totale sicurezza ambientale.
A tale proposito si osservi che nel "Rapporto sullo stato di salute dei residenti nelle aree con siti industriali, minerari o militari in Sardegna, Italia" commissionato dall'Assessorato alla Sanità Regionale emerge che, nelle aree industriali, la compromissione dello stato di salute delle popolazioni coincide con le attività ad alta produzione di rifiuti speciali. Aumentare quindi la produzione di Rifiuti speciali, costuisce un elemento di rischio per tutte quelle popolazioni che si troveranno a risiedere in prossimità delle zone in cui i rifiuti verranno stoccati. Certo, le ceneri si possono trasportare e portare in una discarica (a pagamento), ma noi viviamo in un'isola: per trasportare le ceneri occorre usare le navi (gli aerei sarebbero troppo rischiosi), e questo implica elevato rischio ambientale e elevati costi di smaltimento, probabilmente a carico della collettività. La necessità di un corretto smaltimento delle ceneri tossiche è un fatto.

5. Riguardo all'inceneritore di Brescia.
In prossimità della città, c'è uno degli inceneritori più grandi d'Europa (ca. 750.000 tonnellate l'anno: il triplo di quello di che si vorrebbe costruire a Ottana) che soddisfa da solo circa un terzo del fabbisogno di calore dell'intera città (1100 GWh/anno) e che, nonostante sia stato oggetto di diverse procedure di infrazione da parte dell'Unione Europea, nell'ottobre 2006 è stato proclamato «migliore impianto del mondo» dal Waste to Energy Research and Technology Council, un organismo indipendente formato da tecnici e scienziati di tutto il mondo e promosso dalla Columbia University di New York; ha suscitato però "qualche" perplessità il fatto che questo organismo annoveri tra gli "enti finanziatori e sostenitori" la Martin GmbH, che è tra i costruttori dell'inceneritore premiato. L'impianto di Brescia non è così bello come qualcuno lo dipinge, anche questo è un fatto.

Nei prossimi due articoli verranno analizzate le questioni relative alle biomasse e all'energia prodotta, alla scelta di Ottana come sede; verrà infine proposta una possibile alternativa all'incenerimento dei rifiuti.


Gianstefano Monni







Rapporto sullo stato di salute dei residenti nelle aree con siti industriali, minerari o militari in Sardegna, Italia

[AVVERTENZA DI CHI NE HA CURATO LA TRADUZIONE
: Questo articolo è stato pubblicato in italiano nel febbraio 2006 nella rivista Epidemiologia e Prevenzione. Tuttavia io l'ho recuperato, su Internet, solo in inglese e ho cercato di tradurlo nel modo più accurato possibile, comunque non essendo io nè un medico nè un esperto di statistica non posso garantire sulla correttezza della traduzione. Consiglio quindi le persone realmente interessate a consultare direttamente l'articolo in inglese. ]


Autori:
· Biggeri A,
· Lagazio C,
· Catelan D,
· Pirastu R,
· Casson F,
· Terracini B.

Dipartimento di statistica G Parenti, Università di Firenze. abiggeri@ds.unifi.it


Il lavoro descritto nel presente rapporto è stato richiesto dalla Direzione D’Igiene, salute e Benessere sociale della Regione Sardegna (Italia).

È stato portato a termine dall’osservatorio epidemiologico Regionale sotto il controllo dell’ESA (Epidemiology Development and Environment) e con il supporto dell’Unione Europea. Diciotto aree (per un totale di 73 comuni) sono state identificate a priori come “potenzialmente inquinate”, prendendo in considerazione una popolazione di 917.977 persone nel censimento del 2001 (56% della popolazione sarda). Le aree sono state individuate dopo la città più importante così come indicato sotto (tra parentesi i dati arrotondati della popolazione del 2001), le attività industriali più importanti sono indicate brevemente.


Aree industriali:

  • Portoscuso (59.000): preparazione di alluminio e altri metalli, fonderia, impianti elettrici. Miniere dismesse (prevalentemente carbone, piombo e zinco). Impianti per lo stoccaggio e il trattamento dei rifiuti speciali. La legge italiana 349/1986 ha classificato quest’area come “ad alto rischio di crisi ambientale” e quegli impianti come “ad alto rischio tecnologico” (Norma Seveso, Decreto 334/1999). L’area è parte del sito nazionale per il recupero del Sulcis.
  • San Gavino (24.000). Attività industriali e commerciali. Fonderia di zinco e piombo. Fabbriche casearie. Produzione alimentare.
  • Sarroch (52.000). Industria petrolchimica e raffineria. Impianti di produzione di energia elettrica. Miniere. Inceneritore. Impianti per lo stoccaggio e il trattamento dei rifiuti speciali. Depositi di gas e oli minerali.
  • Ottana (15.000). Industria chimica. Produzione di fibre plastiche e sintetiche. Produzione di denim.
  • Porto Torres (158.000). Industria chimica: produzione di prodotti chimici di base (benzene, toluene, etilene, propilene e altri), polietilene, elastomeri, e cloruro di vinile. Industria tessile. Discariche di prima e di seconda categoria. Alcuni impianti sono stati classificati come “ad alto rischio tecnologico” (Norma Seveso, Decreto 334/1999). Quest’area è un sito di recupero nazionale. È inclusa la città di Sassari .
  • Tortolì (23.000). Costruzione di strutture in acciaio per impianti offshore per l’industria del petrolio e del gas. Cartiera.
  • Tempio Pausania (21.000). Produzione del sughero. Cave.
  • Macomer (17.000). Industria tessile velluto. Discariche di prima e di seconda categoria. Inceneritore.

Miniere:

  • Arbus (30.000): Estrazione dello zinco, del piombo e dell’argento.
  • Iglesias (39.000): estrazione dello zinco, del piombo e dell’argento.

Zone militari:
  • Teulada (16.000)
  • La Maddalena (11.000). Cantieri marina militare
  • Salto di Quirra (31.000). Area mineraria.

Aree urbane:
  • Cagliari (299.000). Impianti petrolchimici, porto, aeroporto
  • Nuoro (37.000)
  • Olbia (47.000): porto, aeroporto
  • Oristano (31.000)
  • Sassari (121.000)



Risultati: La comparazione Italia - Sardegna
Nel periodo 1997-2001, il tasso di mortalità standardizzato per età (x1,000 persone-anno) tra i maschi è stato più alto che in Italia (84,4 contro 80,8), mentre il contrario è accaduto per le femmine (50.9 contro 52.0). Le cause di morte legate a malattia sono state 1,4% nei maschi e il 2.5% per le femmine (contro rispettivamente un dato nazionale del 1.1% e 1.4%). Paragonato al dato nazionale italiano, le stime del tasso regionale di mortalità standardizzato per età è più alto in Sardegna per malattie infettive (23% nei maschi e 12% nelle femmine), malattie respiratorie (22% e 14%: la pneumoconiosi è 6 volte più frequente in Sardegna che in Italia), malattie dell’apparato digerente (26% e 9%), cancro al seno (5%). D’altra parte, i tassi di mortalità regionale sono stati più bassi di quelli nazionali per malattie cardiovascolari (-1,3% e -7,4% nei maschi e nelle femmine, rispettivamente), tutti i cancri considerati insieme (-9% e -7%) e per il cancro al polmone (-5% e -32%). I tassi di mortalità nazionale e regionale per il linfoma non Hodgkin per entrambi i sessi e per la leucemia nelle femmine sono stati praticamente uguali, mentre l’ultimo tasso per i maschi è stato leggermente più alto in Sardegna che in Italia (9,4 vs 8,4 x 100.000 persone-anno). In particolare nei maschi le differenze nei tassi di mortalità per tutte le cause e per quelle cardiovascolari, malattie respiratorie e cancro al polmone tra le quattro province “tradizionali” (Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano) sono state più grandi delle differenze tra Sardegna e Italia. Abbastanza curiosamente, anche i tassi di mortalità per i tumori linfoemopoietici sono stati più eterogenei all’interno della Sardegna.

Risultati nelle zone sotto esame
I rapporti delle dimissioni ospedaliere in Sardegna hanno mostrato un’alta variabilità, che è in parte attribuibile alle differenze sia di posti ospedalieri che di forme alternative di assistenza. Questa eterogeneità deve essere tenuta in considerazione quando si interpretano i tassi di dimissione ospedaliera. Questi sono relativamente alti in alcune aree (Cagliari, Iglesias, Portoscuso, Tortolì) e bassi in altre (Olbia, Porto Torres, Sassari). Tutti i rapporti tra dato osservato/atteso sono stati basati su cifre compensate dalla privazione materiale. Tutte le statistiche stimate sono state riportate con un intervallo di confidenza del 90%.

Aree industriali:
Nel 1997-2001 le morti da malattie respiratorie sono state significativamente maggiori tra i maschi a Portoscuso (obs/exp 205/124,77) e a San Gavino (69/46,77). Le morti da pneumoconiosi sono state osservate sporadicamente, con la sola eccezione di Portoscuso, dove l’eccedenza è impressionante (obs/exp 112/30,46). SMRs per il cancro ai polmoni negli uomini varia tra 0,62 di Ottana e l’1,22 di San Gavino, con variazioni statistiche significative dai valori attesi di Portoscuso e di Sarroch (entrambi con SMR significativamente in eccesso en entrambi i casi: 1,24). A Porto Torres la mortalità per tutte le cause è stata significativamente in eccesso per entrambi i sessi (SMRs 1,18 e 1,21), per malattie respiratorie (1,08 e 1,28), per malattie del sistema digerente (1,13 e 1,21). L’ultimo dato è confermato dai rapporti di incidenza del registro del cancro locale. Tra le aree industriali, Porto Torres è stata quella con la maggior prova di un eccesso di morti per il cancro linfoemopoietico nei maschi (obs/exp 99/83,60) e nelle femmine (73/68,2).

Aree minerarie:
Queste aree sono caratterizzate da un eccesso statistico della mortalità degli uomini, per la gran parte causato da condizioni respiratorie non neoplastiche (obs/exp 119/86,41 a Iglesias e 156/62,55 ad Arbus). Negli ultimi anni, le morti da pneumoconiosi sono state in media 20 per anno ad Arbus e 10 per anno ad Iglesias. Il cancro al polmone nei maschi è stato significativamente in eccesso in entrambe le aree (exp 72/56.38 in Arbus and 108/72.14 in Iglesias ) . C’è un andamento annuale (1981-2001) verso una diminuzione della mortalità per problemi respiratori, che tuttavia rimane grandemente in eccesso sulla media regionale anche nel periodo più recente.

Aree militari:
Gli eccessi statisticamente significativi sono stati rilevati a La Maddalena (mortalità 1981-2001), nei maschi 17 casi osservati contro 6,13 attesi, nelle femmine 8/5,64. Nel salto di Quirra, tra il 1997-2001 morti da mielosi 5/2,3 e leucemia sono aumentati per entrambi i sessi (total obs/exp 20/13.3, statisticamente non significativo)

Aree urbane:
Le aree urbane in Sardegna sono relativamente ben sviluppate con alti livelli di indicatori socioeconomici. Il profilo della salute a Cagliari e Sassari è tipico di città del mondo occidentale. A Cagliari c’è una mortalità più alta per tumori colorettali, al seno e ai polmoni

Conclusioni:
L’inquinamento ambientale (non occupazionale) può spiegare alcuni degli eccessi di malattia nelle zone industriali della Sardegna osservate, in particolare nelle donne, in genere meno esposte ai rischi degli ambienti di lavoro, mentre nelle zone minerarie studiate lo schema delle malattie suggerisce una maggiore incidenza dei rischi legati all’ambiente di lavoro. D’altra parte il collegamento causale tra l’occorrenza della malattia e l’esposizione nelle zone militari rimane non dimostrato. Lo schema della malattia nelle città della Sardegna appare essere associato con lo stile di vita e l’inquinamento urbano. Storicamente, le regioni del sud Italia sono state caratterizzate da un vantaggio rispetto al resto della nazione in termini di salute, ma durante l’ultimo decennio questo vantaggio ha teso a svanire. La Sardegna conferma questo andamento secolare. Tuttavia negli studi riguardanti gli anni più recenti, il tasso complessivo di mortalità standardizzato con l’età nelle femmine Sarde rimane ancora più basso della media Italiana, ma non più nel caso dei maschi. E’stato rilevato che le differenze nel profilo di salute tra residenti in differenti zone della Sardegna sono molto più grandi delle differenze tra la Sardegna e il resto d’Italia. Il maggior contributo alle differenze intraregionali è dato dalle 18 zone investigate per le malattie respiratorie (compreso il cancro) nelle aree industriali di Portoscuso, Sarroch e Porto Torres e nelle zone minerarie; le malattie dell’apparato digerente, il cancro al fegato e il cancro linfoemopoietico nella zona di porto Torres; il cancro al sistema linfoemopoietico in alcune zone militari; i cancri al colon e al retto, al polmone, al seno e all’utero in alcune delle città più grandi della Regione.

domenica 8 luglio 2007

Ultima fermata: Pd.

Di questi tempi parliamo di regole e di regolamenti fatti in riunioni di comitati che ratificano scelte fatte da quelli tra noi che, più o meno democraticamente, decidono. Discutiamo di criteri di rappresentanza territoriale, di genere, di età, etc., senza chiederci se rappresentiamo qualcosa per qualcuno, e cosa rappresentiamo. Le persone nel migliore dei casi non ci capiscono, a volte ci temono e raramente ci stimano. Prendiamone atto prima che sia troppo tardi: prima che la voglia di fare politica e la speranza che non siamo tutti uguali vengano meno. Prendiamone atto e corriamo ai ripari: ascoltiamo la voce che viene da quella società che diciamo di rappresentare, e che conta molto più del 33% che le assegniamo. La società civile è fatta da persone che a volte la pensano come noi e a volte no, e che quando ci ascoltano stanno in silenzio non perché rapite dalla nostra retorica, ma perché sfiancate da tutti i problemi che spesso tendiamo a sottovalutare, se non a ignorare.
Non è il leader il problema, né le primarie, né i quarantacinque, né i tre saggi, i quattro gatti, le cinque terre o le sei nazioni. Attraverso il partito democratico cambieranno davvero le cose? Noi cambieremo? Attraverso le primarie, la costituente e il primo congresso, riprenderemo realmente a interessarci delle Persone, dei loro problemi,del loro presente e del loro futuro? Dalle liste e da tutti gli incarichi cacceremo quelli che hanno fatto della politica un mestiere, dell’etica un optional, dell’appartenenza partitica un mezzo con cui riunirci in greggi da svendere al mercato dell’ interesse privato? Questo è il problema, questa è la sfida che ci impongono i cittadini.
Se sarà così, se cambieremo prima di tutto noi stessi, riuscendo di nuovo a fare davvero politica questo avrà un senso per tutti, non solo per noi; ci giudicheranno sulla base della nostra volontà di ascoltare e di occuparci della politica non come un mestiere ma come un servizio pro tempore. Verremo giudicati non solo sulle proposte che faremo, ma anche e sopratutto sull’onestà e sulla coerenza con cui le porteremo avanti perseguendo le idee e gli ideali di cui parliamo; ritroveremo la stima dei nostri elettori, e dei cittadini, dimostrando nei fatti che siamo i primi a fare sacrifici quando li chiediamo agli altri, che siamo i primi nel rispondere ai doveri che valgono per tutti, non a fruire di diritti che valgono solo per noi.
Se non sarà così, possiamo anche smettere di perdere tempo: ratifichiamo i nuovi organismi per acclamazione, e continuiamo a stare nei nostri scompartimenti stagni di prima classe extralusso. Ma non illudiamoci che continueranno a votarci.Questa è l’ultima stazione: o scendiamo dal treno ad ascoltare le persone e ad invitarle a fare il viaggio insieme a noi facendogli posto nel vagone, oppure prima o poi la Locomotiva ci verrà addosso: non ci sarà più nessuno disposto a deviarne la corsa.

Gianstefano Monni