domenica 22 luglio 2007

Il Trattamento Meccanico Biologico: una valida alternativa agli inceneritori



Negli articoli precedenti sono stati presentati i dubbi circa i rischi per la salute legati all'incenerimento dei rifiuti, i dubbi circa le biomasse e quelli circa la scelta di Ottana. In questo articolo si sarebbero dovute affrontare le questioni circa la necessità e l'opportunità di produrre a Ottana altra energia elettrica. Tuttavia nella riunione tenutasi presso l'Enichem di Ottana il 13.07.2007 anche il Governatore Soru ha affermato che, con l'andamento a regime della centrale Clivati, è venuta meno la necessità di produrre altra energia elettrica a Ottana. Durante lo stesso intervento Soru ha riconosciuto che dall'impianto di Ottana "è ragionevole eliminare la linea delle biomasse" e che i tecnici della RAS valuteranno questa ipotesi, riducendo quindi la potenza della CTI dai 40MWe previsti a 20 MWe (quelli generati dall'incenerimento del CDR).
L'inceneritore, quindi, non è più visto come un sistema per smaltire i rifiuti e produrre energia elettrica (da cui la scelta dell'impianto di Ottana nel PEAR), ma finalmente solo come un modo per smaltire i rifiuti. L'eventuale produzione di energia elettrica mediante l'incenerimento dei rifiuti è, forse, un vantaggio, ma di certo non il motivo per cui lo si dovrebbe scegliere, visto che a Ottana non c'è necessità di avere altra energia.

Levate dal campo la presunta necessità di produrre energia elettrica e l'illusione di creare nuovi posti di lavoro, si può ragionare su quale sia la migliore soluzione ad un problema reale che va affrontato seriamente e risolto nel migliore dei modi. Questo articolo è un modesto tentativo di proporre un modo per smaltire i rifiuti che non comporti tutti i rischi sanitari precedentemente esposti.

Come già detto, il problema più grave legato all'incenerimento è dovuto all'emissione di sostanze tossiche (diossina e nanopolveri) nell'aria. L'altro grande problema è il fatto che il 30% circa di ciò che viene conferito in un inceneritore deve essere smaltito in discariche speciali. Il processo di incenerimento, infatti, produce delle scorie altamente tossiche che non possono essere smaltite in discariche comuni, ma vanno collocate in discariche "speciali". Gli inceneritori, quindi, non risolvono il problema delle discariche, lo complicano, sopratutto in una regione come la Sardegna.

La soluzione che qui si intende proporre si chiama Trattamento Meccanico Biologico (TMB): un insieme di tecnologie in grado di recuperare circa il 70% dei materiali in ingresso. Questo rapporto, pubblicato in Inghilterra nel febbraio del 2003 e tradotto in italiano in occasione della Quarta Giornata Mondiale contro l'Incenerimento dei Rifiuti dimostra, attraverso una dettagliata descrizione tecnica, come a completamento di sistemi di riduzione all'origine e di capillare raccolta differenziata dei rifiuti possa operare un impianto di trattamento degli scarti residui in grado di recuperare circa il 70% dei materiali in ingresso.
Il TMB non emette gas tossici o nanopolveri nell'aria, e non ha necessità di essere alimentato da un quantitativo costante di rifiuti, come invece ha l'inceneritore. L'incenerimento dei rifiuti, infatti, richiede che, anche a fronte di una auspicata riduzione dei rifiuti in ingresso, sia comunque necessario garantire un flusso costante di rifiuti. In pratica, se non si producono abbastanza rifiuti (ovvero se la produzione decresce grazie alla raccolta differenziata) occorre importarli da fuori per fare in modo che l'inceneritore bruci la quantità prevista di CDR. Questo è evidentemente un assurdo: da una parte si dice di voler ridurre il quantitativo di rifiuti attraverso la raccolta differenziata, dall'altra invece si costruisce un impianto che ha bisogno di un flusso costante di rifiuti.

Il TMB è un sistema di riciclaggio e riuso non inquinante, e che si integra perfettamente con la raccolta differenziata, e che è già una realtà in diverse parti del mondo: qui esamineremo brevemente le soluzioni adottate negli Stati Uniti a San Francisco, e in Australia a Sidney.

Nell'impianto di San Francisco vengono trattate in media 1.200 tonnellate al giorno (440.000 t/a) di rifiuti. Originariamente la raccolta porta-porta richiedeva che le persone mettessero carta, vetro e lattine in cestini separati. Questa soluzione comportava un maggiore grado di collaborazione e di impegno da parte dei cittadini, ma, attualmente la via più conveniente è la raccolta a "flusso unico" . I rifiuti, con la sola eccezione dell'umido, vengono collocati dai cittadini in un contenitore unico che viene conferito nell'impianto, ed il cui contenuto viene separato e identificato attraverso il lavoro di un sistema meccanico e di 110 operai. La raccolta a flusso unico semplifica la vita dei cittadini, e contemporaneamente consente di recuperare più materiali: questo sistema infatti ha consentito alla città di San Francisco di raggiungere il 69% di raccolta differenziata, una delle percentuali più alte in America (dato riportato su questo articolo dell'Economist).

L'impianto di Sidney è stato realizzato con un investimento di circa 70 milioni di dollari ed è in grado di trattare un quantitativo di rifiuti non differenziati di circa 250.000 t/a. Il primo impianto di questo tipo ha iniziato a trattare i rifiuti proprio nel settembre del 2004 ma recentemente un impianto analogo è stato appaltato dalle autorità pubbliche del Lancashire in Inghilterra. La tecnologia sta facendo registrare un notevole successo di mercato non solo in Australia e in Asia ma anche in Inghilterra dove molte comunità si stanno battendo contro l’incenerimento dei rifiuti.
A Sidney vi è una raccolta differenziata in crescita ma ancora in corso di miglioramento per superare quote più elevate del 30%. Pertanto il rifiuto in ingresso che va all’impianto è paragonabile a “rifiuto tal quale”. In questo quadro ciò che entra nell’impianto è per circa il 50% scarto di cibi e per il resto è formato da plastiche, carta e cartoni, vetro, metalli e tessili ecc. Nel corso del trattamento vi è una riduzione in peso di circa il 48% per effetto della evaporazione e della perdita di CO2.
Si invia al riciclaggio circa il 13% del totale dei rifiuti in ingresso cosi’ suddiviso :
  • 4% di carta,
  • 3% di metalli,
  • 1- 2% di plastiche,
  • 2% di vetro e
  • 2% di altro (legno, tessili);
Si produce circa un 4% di biogas (riferito al peso totale dei rifiuti in ingresso); 13% di compost con valore agronomico; 17% di frazione organica stabilizzata (FOS) utilizzata per la ricopertura della discarica; 8% di rifiuti da smaltire in discarica costituiti da inerti e da plastiche il cui riciclaggio è problematico.
In pratica, da ogni tonnellata di rifiuti che entra in discarica, escono:
  • circa 450 Kg emessi nell'aria sotto forma di Anidride Carbonica e Vapore acqueo: non vi sono emissioni di sostanze inquinanti o di nanopolveri.
  • circa 300 Kg di materiale riusabile o riciclabile.
  • circa 250 Kg tra FOS e rifiuti non riciclabili, collocabili in comuni discariche, non essendo un rifiuto tossico (come invece sarebbero i 300 Kg in uscita dall'inceneritore).

La sostanziale differenza tra l'approccio con l'inceneritore e quello con il TMB è che il rifiuto nel primo caso è uno scarto da bruciare, nel secondo invece è un'opportunita cui applicare le pratiche del riciclo e del riuso. Queste pratiche, accompagnate da opportune politiche di riduzione dei rifiuti, possono portare all'obiettivo "Rifiuti Zero": una sfida che può essere vinta, come dimostrano esperienze in tutto il mondo, e che va comunque combattuta, soprattutto da un'Amministrazione che ha fatto della difesa dell'Ambiente uno dei suoi cavalli di battaglia. E' molto importante, infatti, salvare le coste e così incrementare il turismo. Ma è fondamentale salvare ciò che le coste delimitano: la nostra terra e tutte quelle creature che hanno la fortuna di viverci sopra per tutta la vita, non solo per un mese l'anno.